Storia di una foto di impegno civile
La fotografia ha fatto il suo ingresso ufficiale nel mondo nel 1839, quando lo scienziato François Arago illustrò all’Accademia di Francia il procedimento con cui si potevano produrre i dagherrotipi, le prime immagini ottenute con una tecnica fotografica.
Il valore di testimonianza del nuovo mezzo espressivo fu subito chiaro, il suo uso per scopi politici fu di poco successivo.
La foto che apre questo post è un dagherrotipo che raffigura una mano, scattato nel 1845, ed è uno dei primi esempi conosciuti di fotografia politica e civile, realizzato con lo scopo di suscitare una reazione nello spettatore e invitarlo a mobilitarsi per una causa.
Fotografare solo una mano era piuttosto inusuale per le consuetudini dell’epoca e l’immagine sembra quasi un ex-voto.
La mano apparteneva al Capitano Jonathan Walker e se si guarda attentamente si nota un’incisione sulla pelle in alto a sinistra. Un marchio che voleva essere di infamia e che invece, anche grazie a questa foto, divenne un motivo di orgoglio.
Jonathan Walker era nato in una famiglia di agricoltori del New England ma il mare lo interessava molto più della terra e a diciassette anni iniziò la sua carriera di marinaio e costruttore di barche. Negli anni ’20 e ’30 dell’ottocento capitanò pescherecci e mercantili e il titolo di Capitano gli rimase anche quando si trasferì in Florida e iniziò a lavorare come appaltatore nel settore delle ferrovie.
Da sempre contrario alla schiavitù, Walker aveva già preso parte a una spedizione per trasportare schiavi fuggiaschi in Messico e nel 1844 costruì lui stesso un’imbarcazione per permettere a sette schiavi di lasciare la Florida e trovare rifugio alle Bahamas, arcipelago appartenente all’Impero britannico in cui la schiavitù era stata abolita da un decennio.
Durante il viaggio il Capitano si ammalò e la sua barca venne intercettata da cacciatori di taglie. Gli schiavi furono riconsegnati ai loro “proprietari” e Walker fu imprigionato e processato per furto di schiavi e condannato a un’ora di gogna e al pagamento di una severa multa e delle spese processuali. Inoltre la sua mano destra fu marchiata con le lettere SS (Slave Stealer), una punizione inusuale e denigratoria di cui non esistono altri esempi.
Nella foto le lettere sembrano al contrario perché i dagherrotipi erano immagini fotografiche ottenute con una tecnica che dava origine a una sola copia in positivo, non riproducibile. Un ulteriore procedimento chimico rendeva possibile stampare i dagherrotipi e usarli anche sui giornali.
Il Capitano Walker rimase in carcere, in isolamento, per un anno. Alcuni giornali pubblicarono le lettere che scrisse alla moglie e ai figli e l’attenzione sul suo caso permise agli abolizionisti del nord di raccogliere la somma necessaria per pagare la multa e farlo rilasciare.
La storia di Walker ispirò un poema e molti circoli abolizionisti invitarono il Capitano a raccontare la propria esperienza. Per i contrari alla schiavitù e per quelli che lottavano per abolirla Walker era un eroe e alla sigla SS venne conferito un nuovo significato, Slave Savior.
Nel 1845, mentre si trovava a Boston, Walker fu invitato da un abolizionista locale a farsi fotografare la mano marchiata per realizzare biglietti da distribuire come testimonianza e ricordo della sua impresa e del coraggio dimostrato.
Per lo scatto fu scelto lo studio più alla moda della città, quello dei fotografi Albert Southworth e Josiah Hawes, noti per l’abile resa di luci e ombre, ritrattisti di moltissime personalità e celebrità dell’epoca.
L’immagine ebbe un’ampia diffusione e divenne un simbolo dell’abolizionismo americano: molti quotidiani la usarono per illustrare articoli sulla storia di Walker, apparve in molti pamphlet, nell’autobiografia del Capitano (tradotta e stampata anche in alcuni paesi europei) e fu infine riprodotta sulla stele funeraria di Walker.
La studiosa israeliana Ariella Azoulay ha riflettuto sul valore storico e sui molteplici significati del dagherrotipo della mano di Walker nel suo saggio The civil contract of photography.
Fotografare la mano marchiata non mirava solo a sovvertire il significato della punizione infamante e a mettere in discussione la sentenza secondo cui aiutare degli esseri umani a sottrarsi alla schiavitù fosse un atto criminale, ma soprattutto mirava a costituire una comunità virtuale di cittadini che avrebbero visto in quell’immagine esattamente quello che i fotografi e Walker ci vedevano, un’ingiustizia che andava combattuta.
Questa storia serve ad Azoulay per spiegare la sua teoria di fotografia come contratto civile, ovvero di una relazione tra fotografo, soggetto fotografato e spettatore, esplicitata nell’immagine creata, che possa creare solidarietà e un nuovo diritto di cittadinanza non definito né controllato dal potere politico che governa un determinato territorio.
Marina Cotugno – CC BY-NC-SA 3.0 IT